mercoledì 22 ottobre 2014

Gente della notte

Da bambina adoravo Gente della notte. Non che me ne sentissi esattamente parte, insomma, che notte?! alle dieci massimo crollavo appoggiata sulla spalla di mia mamma mentre guardavamo la TV.

Ma il tempo passa, si cresce e si scopre la notte.

E allora alle 4:20 di una domenica mattina e mi ritrovo a passeggiare in uniforme per le strade della vita notturna viennese e, dopo anni, le vedo le facce della gente della notte: ci sono ovviamente ragazze e ragazzi che tornano verso casa, senza molta voglia, immersi in un kebab o una vaschetta di noodles.  Alcuni ridono del mio total red look, altri ti fanno dichiarazioni d’amore che si confondono tra qualche sghignazzo. Qualcuno, come il ragazzo che mi si è appena avvicinato mentre sedevo sulla panchina aspettando il bus, si trasforma in un piccolo eroe: “Scusi”  “Sì?!” “Quel ragazzo l'ha importunata, vero? ” “E… Può  essere… ” “No, sa, volevo solo dire che lei somiglia proprio a mia sorella, io ero convinto che lei fosse mia sorella, e allora gli ho dato un pugno. È stato troppo volgare e io gli ho dato un pugno! Volevo solo dirglielo. Però sono sollevato che lei non sia mia sorella… “.  Non ho fatto in tempo a rispondere “Anche io”.
E poi ci sono quelli che la notte la portano avanti:i tassisti che quando mi concedo un lusso mi accompagnano alla fermata, gli spacciatori di ogni specie di junk food puzzolente, i poliziotti che ti accennano un saluto discreto e muto. Poi i miei preferiti, gli spazzini (sì  lo so, operatori ecologici) che mi battono in  quanto a visibilità dell’uniforme, la loro è  arancione, e che chiedono curiosi “E allora dove si va oggi?…Però, da una parte all’altra dell’Europa!”, poi due battute sul tempo, uno sguardo al tipo che passa cantando e “Buona giornata allora”.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=8pVOXdQ6QwQ

giovedì 24 gennaio 2013

La cena da single

Oggi sono tornata dal lavoro, ho tagliato del pane e l'ho messo a bruschettare in forno. Sono andata a farmi una doccetta. Torno in cucina, apro il frigo, afferro due pomodorini e una cipolla. Apro la credenza: fagioli in scatola, tonno in scatola. Sempre siano lodate le scatolette con la leva per aprirle, a ventisette anni io ancora non ho imparato ad usare l'apriscatole. Forno spento. Pomodorini a cubetti, cipolla sottilissima. Tutto insieme, una bella rimestata e la cena è servita.

La cena da single.

Ieri tra amici era uscito questo discorso: molti si trovano momentaneamente single perché i partner sono in giro per il mondo per motivi di lavoro. Io, da single full-time, mi sono astenuta dall'intervenire.

Oggi, mentre scubettavo i pomodorini, mi sono ricordata di quel discorso e ho realizzato che da un bel po' di tempo, escluse le serate con le amiche o quelle in famiglia, le mie cene sono delle autentiche cene da single.
Anche la spesa è sempre una spesa da single ma, non credete di avermi inquadrata, non prevede cibi precotti, schifezze da freezer o affini. La mia spesa da single prevede la maggior quantità possibile di cibi che non necessitino cottura. Una delle poche cose che mi trovo a "cuocere" è il pane: per me il pane deve scrocchiare e tra le molteplici varietà di pane austriaco ancora non ne ho trovato uno che ne sia capace.

Nonostante sia passato un po' di tempo, ricordo ancora alla perfezione i momenti pre cena da coppia. Ricordo quanto odiavo quel momento tardo pomeridiano in cui arrivava la fatidica domanda "Che ci mangiamo stasera?" Ricordo che lo odiavo ritenendolo uno dei migliori metodi per mettersi davanti alla monotonia della vita quotidiana ritmicamente scandita dai pasti principali (beh sì, saremo stati pure studenti, ma i pasti non si saltavano e avevano orari più o meno stabili). Ora, pensandoci bene, quella domanda un po' mi manca. Mi manca bisticciare tra una pasta e patate e degli spaghetti al pesto, tra un "ci va la cipolla" e un "ma che ne sai tu, si fa con l'aglio", per poi riappacificarsi nel momento del "mi passi il formaggio?". 

O forse mi mancano solo dei pasti caldi.

venerdì 21 dicembre 2012

Masturbazioni mentali da fine del mondo


Il mondo è ancora qui. Sì, va bene, lo sapevamo, evviva!

Ma sono l'unica che in fondo non ci vedeva niente di così catastrofico (scusatemi il triste gioco di parole)?
A me non sarebbe mica dispiaciuto smettere di farmi domande davanti allo specchio del tipo: troverò davvero un lavoro (quello famoso, unico e indivisibile -amen-)? Ho davvero fatto una cazzata a seguire la tanto lodata vocazione? Ho davvero investito gran parte dei miei 27 anni in qualcosa a cui in qualche modo ho già rinunciato (si legga "traduzione e insegnamento"?

Quella tipa lì, dentro lo specchio, con quella frangetta storta, mi guarda sempre imbambolata e non proferisce parola.

Forse sarebbe stato meglio se sti Maya c'avessero preso.

venerdì 7 dicembre 2012

Io chi?

Niente ego, niente problemi.



Tanti di noi si fanno forti dicendo «Io sono come sono, non m'interessa quello che credono di me gli altri».
Balle.


«Eppure, non c'è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose. La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.»
L.Pirandello, Uno, nessuno e centomila.

Noi, affrontiamo la verità, siamo quello che vedono gli altri. Insomma, noi siamo uno, gli altri sono centomila, chi ci vedrà meglio? Possiamo certo darci una forma, ma saremo comunque solo noi a percepirci in quella forma.
Che poi, pensiamoci bene, questa storia dell’essere la realtà che gli altri hanno per noi, non è mica così male. A meno che non abbiamo un ego spropositato e un’autostima inopportuna, gli altri vedranno in noi sempre qualcosa in più dei nostri occhi miopi.
Qualche tempo fa mi sono trovata a parlarne col mio amico El pianista. El pianista è uno di quei tipi multiformi: scrittore, musicista, traduttore, ballerino (ah! dovreste vedere che passi). Ma soprattutto è spassoso. È uno di quelli che solo a vederli pensare ti fanno ridere (ora voi vi starete figurando il Mimmo di Verdone. No, non è così. Ridi perché sai che sta pensando qualcosa che ti farà ridere). Comunque, finito l’elogio che, a sentir lui, non capirà, torno al punto.
El pianista nella sua prima fase europea ha vissuto in Spagna, a Barcellona se non sbaglio. Lì, non conosco i dettagli e non credo che contino, ha suonato in una band. A un certo punto è stato scaricato con una sorta di e-mail “commerciale”, mezzo infame per me, più che comprensibile per lui. Alla sua richiesta di spiegazioni, ecco la risposta ricevuta: «Molto ego. Poca autostima. Cattive vibrazioni.»
Vi state chiedendo anche voi come sia possibile avere troppo ego ma poca autostima? Beh, se trovate una risposta fatemelo sapere.

Non so quale sia stata la sua reazione a caldo, fatto sta che El pianista ha preso queste tre simpatiche critiche e ne ha fatto il suo slogan (ora avete capito cosa intendevo con «è uno di quelli che solo a vederli pensare ti fanno ridere»?) e quindi alla sua voce Informazioni di face book leggiamo:


«Mucho ego, poca autoestima y mal rollo.»



Ora, questo ritrovarsi nelle percezioni degli altri e farne ironicamente il proprio slogan non è certamente la reazione più comune.

Per quanto mi riguarda, raramente condivido le critiche che mi vengono mosse e non solo perché sono permalosa, questa è una delle critiche più gettonate da parte di mia madre, ma soprattutto perché ritengo che siano in qualche modo superficiali. Si fermano all’episodio che le ha scatenate e risultano spesso affrettate, certo non quella del “permalosa”, quella la riconosco e mia madre mi conosce da qualche anno.



Comunque, dopo questa simpatica storiella dello slogan, mi sono trovata a pensare su tutto ciò che mi è stato detto, su tutte le etichette attribuitemi, positive o negative che siano. Chissà quale potrebbe essere il mio slogan.

«Responsabile, tanto matura per la tua età» mi hanno detto fin dai tempi della scuola. «Una bambina viziata» mi disse una volta una coinquilina.

«Dolce e disponibile», «Aggressiva ed egoista». «Quello che cercavo, una donna seria», «Una troia. Sempre stata, solo che non me n’ero accorto», queste ultime sono state partorite dalla stessa equilibratissima mente.

«Credi troppo poco in te stessa», «Pensi sempre di avere ragione». «Maniaca dell’ordine», «Lasci sempre tutto in giro».

«Un sole, sempre sorridente», «Troppo malinconica».



A me è venuto mal di testa e non sono riuscita a cavarne niente che non sia il ritratto bipolare di una 

 «Malinconica bambina viziata, responsabile, ma un po’ troia».


martedì 20 novembre 2012

Autocelebrazione

Prendo in prestito Gozzano, per celebrarmi. In realtà gli anni son ventisette. Son due passi più vicina a quella "trentina inquietante". 


 






I colloqui
 ...reduce dall'Amore e dalla Morte
gli hanno mentito le due cose belle...
I.
Venticinqu'anni!... sono vecchio, sono
vecchio! Passò la giovinezza prima,
il dono mi lasciò dell'abbandono!
Un libro di passato, ov'io reprima
il mio singhiozzo e il pallido vestigio
riconosca di lei, tra rima e rima.
Venticinqu'anni! Medito il prodigio
biblico... guardo il sole che declina
già lentamente sul mio cielo grigio.
Venticinqu'anni... ed ecco la trentina
inquietante, torbida d'istinti
moribondi... ecco poi la quarantina
spaventosa, l'età cupa dei vinti,
poi la vecchiezza, l'orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti.
O non assai goduta giovinezza,
oggi ti vedo quale fosti, vedo
il tuo sorriso, amante che s'apprezza
solo nell'ora trista del congedo!
Venticinqu'anni!... Come più m'avanzo
all'altra meta, gioventù, m'avvedo
che fosti bella come un bel romanzo!
II.
Ma un bel romanzo che non fu vissuto
da me, ch'io vidi vivere da quello
che mi seguì, dal mio fratello muto.
Io piansi e risi per quel mio fratello
che pianse e rise, e fu come lo spetro
ideale di me, giovine e bello.
A ciascun passo mi rivolsi indietro,
curioso di lui, con occhi fissi
spiando il suo pensiero, or gaio or tetro.
Egli pensò le cose ch'io ridissi,
confortò la mia pena in sé romita,
e visse quella vita che non vissi.
Egli ama e vive la sua dolce vita;
non io che, solo nei miei sogni d'arte,
narrai la bella favola compita.
Non vissi. Muto sulle mute carte
ritrassi lui, meravigliando spesso.
Non vivo. Solo, gelido, in disparte,
sorrido e guardo vivere me stesso.                                  

mercoledì 14 novembre 2012

The Others

Gli altri sono quelli che tutti odiano.

La colpa è loro. Tutto andava bene prima che arrivassero gli altri. Sono il fulmine a ciel sereno. Distruggono sogni e progetti, vi s'insinuano e li svuotano, li frantumano. O almeno così si dice.

Gli altri sono quelli che lo sapevano prima, che non possono chiedere di più perché  è così, qualunque cosa succeda sei comunque un altro. Tutti hanno bisogni ma gli altri no. Perché mai dovrebbero? Aspettative? Come possono solo credere di averne il diritto?

Gli altri sono quelli delle ore contate, degli appuntamenti fissi. Niente fine settimana, niente feste raccomandate. Sono raccomandate, sì, ma non agli altri

Non pensare di poter provare sentimenti: se sei uno degli altri, non ti appartengono. E dovesse andar male, non provare a essere dispiaciuto, ti avevano avvertito.

Insomma, chi non desidera qualcosa di nuovo ogni tanto? È per questo che ci sono gli altri. Ma si sa, le care vecchie abitudini, le sicurezze, le certezze, anche quando annoiano sono sempre meglio.
Ed è lì che si torna, sempre in tempo, mi raccomando! Non vorremmo dover mentire.

mercoledì 31 ottobre 2012

Fuga dell'anima

Arriva il primo raffreddore di un nuovo inverno (lo so, è ancora autunno, ma se ne avete il coraggio, chiamatelo voi "autunno" questo freddo a due gradi), i primi fazzoletti sparsi ovunque, i primi brividi.
E mi prende la nostalgia. Di cosa non so bene, odori (dato che ora ne sento ben pochi), colori, calori.
Con la mente torno a Sud, a quei luoghi che sono un po' miei, a quella casa bianca sugli scogli dove mia madre, in torridi pomeriggi estivi, dormiva sul pavimento vicino al balcone sperando che qualche onda, andandosi a rompere su quelle meravigliose fodamenta naturali, la rinfrescasse un po'. Torno a quei luoghi, alle loro storie, che poi non so quanto siano vere, ma hanno del magico, quel magico che per me è solo Sud, cielo azzurro, case bianche e panni stesi ad asciugare.

Allora bevo il mio té zenzero e menta, e penso al vento, allo Scirocco, che caldo e umido ti avvolge, ti soffoca, ma non ti colpisce e ferisce come questo freddo vento del nord, maledetto.

Sud, fuga dell'anima. Tornare a sud di me, come si torna sempre all'amor. Vivere accesi dall'afa di Luglio appesi al mio viaggiar, camminando non c'è strada per andare che non sia di camminar.